Hai un momento Liga?

Anche un concerto, se proiettato a cinema, è capace di far nascere domande e dubbi. Quasi la sua fitta trama lasciasse qualcosa in bilico nelle menti degli spettatori. “E’ come prima? O si è montato?”. Ognuno sceglie la sua verità. Come capita di fronte ad ogni film. Diciamo solo che “Nato per me”, “Sulla mia strada”, “Il mio pensiero” e “Questa la mia vita” danno qualche indizio.

Ma non dobbiamo badare al cantante, l’autocelebrazione è vizio e buon costume di ogni grande rockstar. Per questo Campovolo 2.011 di Luciano Ligabue non è altro che un dovuto manifesto al successo, un legittimo attestato all’idolatria di massa che la sua carriera di cantautore raffinato e potente merita. Le file interminabili, le tende montate da giorni, la folla che si accalca. Del pubblico ci viene mostrato solo l’atto di fede incondizionato ma non la passione profonda. Di Campovolo ci arriva solo il decollo del “super boeing Ligabue” e non le motivazioni dei singoli check in dei fan. Di quella grande e unica certa notte ci viene mostrata solo la stella, ma non il cielo.

Poteva essere un’occasione per raccontare, oltre che raccontarsi, utilizzando lo schermo come mezzo per entrare nell’intimità dei retroscena (cosa che accade solo in un attimo con le immagini dell’incisione di Ora e allora). E invece ecco altra autoreferenzialità, troppo io e poco voi, troppo palco e poca realtà.

Il 3D aggiunge profondità visiva ai testi di Ligabue che già da soli sanno scavare sin troppo bene dentro diverse dimensioni emotive. Tutto il resto è il concerto.  E quello che ci si deve aspettare da un concerto. Luci, suoni, vibrazioni. Difficile immaginarlo di (ri)vederlo a cinema, in uno spettacolo ibrido in cui la sala vorrebbe trapassare lo schermo. Figuriamoci descriverlo a parole. Lo grandiosità dello spettacolo resta, così come il dubbio che ogni tanto, il nostro buon Luciano, si possa dimenticare di chiedersi “fuori come va, sotto come va?”. Domande sconcertanti.

Giuseppe Grossi


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